Giancarlo Schiaffini

Giancarlo Schiaffini

PORTRAITS

È un equivoco pensare che il jazz sia improvvisazione o che l’improvvisazione si faccia solo in campo jazzistico. L’improvvisazione si fa in tutta la musica è solo negli ultimi due secoli che si improvvisa di meno.

Una volta scribacchiavano la musica scrivendo la traccia e poi ognuno aveva la libertà e il dovere di variare in quanto musicista. Poi quando il numero dei musicisti è aumentato esponenzialmente, non era più possibile improvvisare e gli spartiti si sono chiusi alle improvvisazione.

Nel novecento è nato il jazz che, nel suo piccolo, come dimensioni di organici, ha potuto rilanciare l’improvvisazione nella musica occidentale. Ora però anche il jazz ha quasi perso la vera improvvisazione, è diventata standardizzata, non c’è più niente di inaspettato…che dia sorprese.

L’evoluzione vera c’è stata fino agli anni sessanta, sia nella musica che in tutta l’arte. Il panorama si era molto allargato, con gente che sperimentava in diverse direzioni. Però una volta smaltita l’ubriacatura degli anni sessanta anche il jazz è diventato ‘più commerciale’, più chiaro. Sappiamo quello che offriamo, non ci sono rivolte non c’è nessuno che da fastidio, che stupisce è diventato accademico, commerciale, un jazz degli anni cinquanta con poche variazioni. C’è una museificazione dell’oggetto musicale. E poi noi abbiamo l’idea che quello che si faceva cent’anni fa è molto più importante di quello che si fa oggi. Ma perchè? Non è mica vero, non sempre. È la nostra idea di classicismo, noi abbiamo attribuito al periodo classico quello che ha formato tutto, una identità di valore assoluto, e difatti la musica si fa come allora non è cambiata di molto, e nel jazz è lo stesso facciamo quello degli anni ‘50 e basta.

Tu, Giancarlo Schiaffini che musica fai?

Io ho sempre spaziato nei vari generi musicali, ho suonato con vari autori tra cui John Cage. Ho sempre fatto musica in senso stretto, musica contemporanea.

Ho la fortuna di suonoare solo le mie cose, da solo o con altri musicisti, faccio quello che mi interessa fare quello che mi stimola, sempre facendo improvvisazione, che è un metodo molto forte per costruire la musica. Suono mettendo insieme immagini, o recitazione, aggangi un po’ multimediali, ma anche abbastanza naturali, perchè in fondo ogni criterio di espressione può essere tranquillamente legato ad un’altro, e poi ognuno ha una serie molteplici di interesse per cui l’obbligo di specializzarsi in una sola arte, anche questo retaggio della cultura classica, ci condiziona molto, ti da un’etichetta ben precisa.

Faccio musica per me parto da me quello che mi piace e mi convince, e spero che questo possa piacere anche agli altri, ma non parto dall’idea di compiacere gli altri, poi la musica può essere più normale o diversa.

Devo essere convinto io non penso al target di ascolto, questo comporta tante rinuncie economiche e anche di possibilità. Finchè posso cercherò di avere libertà e possibilità di lavorare su quello che mi piace.

Mi ha sempre attirato la musica dodecafonica, ma non ho mai compreso bene la sua complessità, forse tu riesci a spiegarmela in poche righe.

Eh eh eh… la musica dodecafonica è stata inventata dalla scuola di Vienna di inizio‘900, che aveva teorizzato la parità dei dodici suoni invece che il centro tonale più importante. Fu una delle prime rivoluzioni. Nel ‘900 è stato il primo momento assieme al futurismo a proclamare un programma di quello che voleva fare. Infatti i futuristi con il loro manifesto hanno detto quello che volevano fare, via le cose del passato… i rumori … i proclami. La stessa cosa ha fatto la scuola di Vienna che ha spiegato in qualche modo quello che voleva fare, non se lo è fatto spiegare dai critici vent’anni dopo come di solito capita. Il dodecafonico è stato un qualcosa di discontinuità con quello che accadeva nella musica in generale, e quindi è rimasto come sinonimo di musica strana magari anche brutta o comunque non piacevole di sicuro non rassicurante, a parte che non è vero perchè se uno si mette ad ascoltare con una certa ricevitività vede che c’è armonia.

Il cambiare spesso band è indice di libertà?

Si chiaro, indice di rapporti diversi di scambio, quando vado a fare un concerto con un certo tipo di persone interagisco con loro e viene fuori qualcosa di un certo tipo, con altri altri tipi., è un fatto di collegarsi all’ambiente e alla società in modi differenti.

È una musica, quella che fai, che si riscopre a una certa età ….

È naturale, ho visto che certe cose le cominci a capire verso i 18-20 anni, le elabori. Quando sei giovane si hanno certe chiusure, è stano ma fino ad una certa età si hanno delle chiusure dovute della formazione che tu hai ricevuto. Fino a 14-15 anni ti viene data una educazione una cultura che non la elabori. Il periodo dell’adolescenza è quello che ti segna di più. Dai 15 ai 20 anni è il periodo che maturi più cose e il periodo che ti fissi delle cose che ti porterai dentro te per tutta la vita, dei gusti, dei modi di fare … e quindi succede che non sei preparato perchè ti hanno riempito di roba che tu non hai ancora elaborato.

La tua esperienza con John Cage

Cage è stato un musicista diverso da tutti: lui ha avuto tre periodi fondamentalmente diversi, il primo anni ‘35-’50 dove scriveva la musica abbastanza in modo normale, per raggiungere un risultato di un certo tipo, ed essendo americano e non aveva il nostro bagagli culturale che il più delle volte ci opprime. Lui usava il pianoforte preparato con viti bulloni dentro, musica godibile.

Poi dal ‘50 -’80 periodo happening con la musica più legata alla causalità, tanti brani fatti con l’estrazione a sorte dei parametri o fatti con l’atlante del cielo, dando alle stelle note diverse. Ho suonato una volta con lui negli anni ‘80, ognuno doveva fare la sua parte indipendentemente dagli altri poi quando avevi finito, il fatto di prepararsi era già il pezzo. La cosa importante era la scelta del metodo compositivo, era più importante il processo costruttivo del risultato finale perchè poi anche il risultato dipende molto dall’atteggiamento dell’ascoltatore. L’ultimo suo periodo musicale è quello dei numeri. Componeva quasi dei silenzi costruiti, come il famoso pezzo del ‘53 intitolato 433, un silenzio di 4,33 minuti. Duranteb questo silenzio il pubblico magari tossiva, o c’era quello che si incazza, o gli uccelli passano cinguettanto… quella era la composizione musicale. Costruiva il silenzio animato.

E adesso c’è ancora spazio per le sperimentazioni?

Ma si spazio c’è, possibilità meno anche perchè c’è questa standardizzazione totale degli ascolti. Mi ricordo quello che sucedeva negli anni ‘60-’70 c’erano tantissime cantine o posti dover si suonava. I vari Carmelo Bene io l’ho visto che faceva l’Amleto pisciando sul pubblico al Beat 72 a Roma, posti dove c’erano 30 persone… e c’erano tanti posti così. Il pubblico era più curioso, adesso sembrano tutti un po’ rincoglioniti, se posso dirlo, non c’è più curiosità, c’è anzi, un po’ di paura di andare a vedere qualcosa che non sai cos’è.

Probabilmente continuare a sentire sempre le solite musiche classiche ha ristretto gli orizzonti, ha chiuso le prospettive, uno che sente sempre Mozart, non sarà più capace di sentire Stravinskij, perchè non ha più la testa, non essendo più abituato alla ginnastica mentale che serve per ascoltare nuovi percorsi musicali.

Il pubblico è cambiato?

Ci sono periodicamente dei sussulti di pubblico anche giovane che si sveglia un po’, che è interessato, ci sarebbe bisognerebbe fare un collegamento più continuo tra musicisti e pubblico.

Ora tutti con un computer fanno musica…

La tecnologia serve, la uso, bisogna solo stare attenti a non farsi prendere. Le macchine servono tutte a far qualcosa, bisogna saperle usare non farsi usare facendo i giochetti. Oggi a casa se vuoi ti fai il cd, ed è già una grande cosa.

C’è differenza di situazione fuori dall’Italia?

Si, all’estero c’è differenza, la situazione più triste è da noi. In Francia, in Germania c’è più spazio per tutto, In Italia siamo sempre stati più modaioli, seguiamo le mode e quando finiscono si deve cambiare. Non c’è più niente che dia informazione che dia cultura, siamo un po’ caproni su questo. I modelli sono quelli di far soldi e di apparire, e l’altro fa una grandissima fatica, perchè è questo, noi vogliamo questo la gente vuole vedere questi Xfactor, The voice, le classifiche che abbiamo copiato dagli Usa, a che numero sei in classifica?…

A dire il vero sono fuori classifica ahahah …_Giulio Malfer.