PATRIA

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RIVISTA

Nel numero 9 della rivista dell’A.N.P.I. ‘Patria’, il direttore, Wladimiro Settimelli ha voluto dedicare al lavoro ‘Partigiani’ l’inserto LE FOTOSTORIE con il titolo ‘Guardando negli occhi i Partigiani’. Qui di seguito L’introduzione scritta dallo stesso direttore:

“Come pochi altri generi in fotografia, il ritratto ha sempre contrassegnato il lavoro dei grandi maestri, ma anche dei dilettanti e dei fotografi casuali alla ricerca della memoria di un momento della vita, di un ricordo, di una emozione. Nella storia dell’immagine ci sono stati, appunto, i grandi ritrattisti come Nadar in Francia o come Alinari, Nunes Vais, Ghitta Carrel e Luxardo in Italia. E poi i grandissimi come Yousuf Karsh (indimenticabili e unici i suoi Churchill, Sibelius, Nehru, Einstein, George Bernard Shaw) la straordinaria Margaret Bourke White con il celeberrimo ritratto del Mahatma Gandhi che tesse e Hine che, agli inizi del ’900, fotografa “madonne italiane” appena sbarcate a New York per fuggire dalla miseria. E ancora prima ecco le foto
dell’inglese Cameron con quelle sue “pose” di uomini importanti, appena appena sfocate.
E accanto ai miti, ecco lo straordinario del casuale e dell’occasionale: milioni e milioni di ritratti di uomini, donne e bambini di tutto il mondo e le foto scattate negli studi dei modesti fotografi di paese o di periferia o dai professionisti, per i documenti, i passaporti, le carte d’identità o per mandare un ricordo ai parenti lontani. E ancora le foto scattate delle macchinette automatiche in funzione fin da quando si usavano le piccole lastrine di metallo coperte da uno strato di catrame. E quindi quelle identificative della polizia criminale che sorpresero il mondo, nei giorni dei primi esperimenti presso la prefettura di Parigi.
Subito dopo, i ritratti delle mogli, dei mariti, dei figli, dei parenti, degli amori lontani e vicini, degli amanti e delle amanti, con le espressioni che conosciamo bene e che ritroviamo fissate per sempre da quella straordinaria invenzione che fu e che rimane la fotografia. Dunque il ritratto, il ritratto, il ritratto.
Perché, potrebbe chiedersi qualcuno? La risposta è ovvia, ma pensiamoci ancora per un momento. Il viso dei nostri simili, e probabilmente anche il nostro, è di un fascino unico. Vi si possono leggere tante cose che non sempre il fotografato riesce a controllare o nascondere. A volte, vi si legge la prepotenza, la protervia, la cattiveria, l’assillo sessuale, la disperazione o la malattia. Altre volte, dall’angolo della bocca, da un occhio, da una verruca, da un peduncolo, sbucano fuori dolcezza, tenerezza o disponibilità. Il viso, si è sempre letto nei classici e nei romanzi antichi e moderni, “è lo specchio dell’anima”: trascende, trasfigura, rivela, comunica. Un viso è quasi sempre un continente dell’anima e si può percorrerlo pezzetto per pezzetto
per rendersi conto di chi incontriamo o di chi abbiamo a fianco. Ci sono volti che sono volgari, che rivelano grettezza, furbizia, tendenza allo scroccare. Altri che sanno di pulizia interiore, di onestà, di capacità di ascoltare, di volontà, di capacità di scegliere e reggere alle durezze della vita, con lealtà e moralità.
Dunque, “esplorare” con il ritratto è un modo per “leggere” la società, il mondo e tutto quello che ci accompagna nella vita. Che ci è vicino o lontano, che ci riguarda interiormente, che ci rassicura o ci allarma.
Giulio Malfer, da Rovereto, da buon fotografo professionista sapeva e capisce tutto questo. Un certo giorno ha deciso di mettersi in giro per l’Italia e ha cominciato a scattare ritratti ai partigiani e alle partigiane, ai combattenti, alle staffette, a coloro che tessevano la tela della ribellione al fascismo e al nazismo e a quelli che, invece, salirono in montagna.
Nessuno di loro, nelle foto, è più un ragazzino e qualcuno, in questo frattempo, ci ha lasciato, ma tutti sono ugualmente “fissati” per sempre in un bel libro dal titolo semplice, semplice: “Partigiani”, edizioni Redframe, con una presentazione di Mario Cossali, dell’ANPI di Trento e un breve testo dello scrittore Erri De Luca. Nella parte finale del libro vengono invece pubblicate le biografie dei fotografati. Una serie di piccole interviste sono sistemate tra le immagini. I grandi giornali non hanno speso una riga di recensione per questo libro, ma hanno sbagliato perché “Partigiani” è uno splendido libro fotografico e Giulio Malfer ha fatto davvero un buon lavoro. Bisogna sfogliarlo pagina dopo pagina per capire che cosa può significare “indagare” ed “esplorare” volti, barbe, baffi, espressioni, occhi, sorrisi. Aggiungerei che i
ritratti vanno proprio fatti così… o non sono ritratti. La macchina fotografica è stata utilizzata, da Malfer, al massimo della resa e delle possibilità. Appunto per “rispecchiare”, “capire” e rileggere i volti dei partigiani e delle partigiane. Certo, lui (il Malfer) è un professionista che lavora da una ventina di anni e che ha messo insieme un gran numero di esperienze, realizzando altri libri e lavori vari. Tra l’altro una trentina di foto del libro, sono state preparate per una mostra che è già in giro per l’Italia (per contattare il fotografo, basta chiamarlo al cellulare numero 333/6249348) e che farà sicuramente molta strada.
Le foto sono tutte molto belle e significative e invito chi comprerà il libro a scorrerle lentamente. Insomma a “leggerle”. Che bei visi, che bella gente onesta e pulita! Quanto erano e sono belli i nostri partigiani!
Guadate i visi di Renato Piccioni, di Erminio Fraschini, di Riccardo Lussana o del parroco don Francesco Brondello. E ancora quello di Carlo Lizzani, del conte Luchino Dal Verme o delle staffette Lidia Brisca Menapace, Assunta Casotti, Delfina Trebbi, o Giacomina Marighetto. Date una occhiata anche alle loro spalle, alle loro case, ai quadri appesi alle pareti, ai libri che leggono o che hanno letto. C’è la conferma: sono tutti personaggi, consapevoli, autentici che seppero e sanno ancora oggi scegliere la parte giusta. Hanno ancora molto, moltissimo da insegnare e raccontare a noi tutti. Ascoltiamoli sempre. Anche per questo il lavoro di Malfer è un buon lavoro”.
Wladimiro Settimelli