LIBRO
La presentazione del libro ‘Carnascèr Fascian. Un rito tradizionale nella modernità‘, si era svolta domenica 27 febbraio 2011 presso il teatro comunale di Canazei e organizzata dall’Istitut Cultural Ladin.Un lavoro antropologico e fotografico realizzato dagli autori Cecare Poppi antropologo di Bologna e Giulio Malfer fotografo trentino hanno lavoroto al progetto per diversi anni, sotto la regia del direttore dell’istituto Fabio Chiocchetti.Qui di seguito l’introduzione scritta da Cesare Poppi che spiega il progetto nel suo insieme.
‘Il testo che segue prende forma da una conversazione che ebbi qualche tempo addietro con Fabio Chiocchetti del Goti. A lui dunque va un primo, sentito ringraziamento anzitutto per averla ispirata, e poi per avermi spronato a tradurla in forma scritta. Mi è sembrato che mantenere la forma dell’espressione orale potesse in qualche modo fare da controcanto allo stile proprio della fotografia di Giulio Malfer che accompagna il testo: una fotografia dinamica, “mossa”, nella quale l’istantanea è colta in una sorta di divenire “altro” rispetto a quanto congelato nello scatto immediato. E “mossa” al pari del vedere di Malfer è anche la qualità della memoria che ho voluto inserire nel titolo del mio contributo. Questo per sottolineare il fatto che il testo presentato contiene riflessioni sul Carnevale fassano maturate nel corso di trent’anni di lavoro sul tema delle mascherate e dintorni che hanno senza dubbio smosso e modificato – spero affinandole e rendendole più efficaci – le memorie dei primi straordinari e (ricordo chiaramente) stupefatti incontri con le maschere fassane. Per converso, un bilancio puntuale di quanto le esperienze di ricerca sul campo che dal Ghana settentrionale, dalla Lettonia ai Paesi Balcanici, e dalla Francia ai Paesi Baschi siano state influenzate dalle ipotesi interpretative stimolate da quella prima volta che vidi Laché e Bufon farsi strada a fatica nella neve per annunciare la mascherata, dovrà attendere una pubblicazione futura. Qui però mi preme dire che la presente visione retrospettiva “a memoria” si è arricchita nel corso degli anni di verifiche e smentite che l’esperienza comparativa ha stimolato, spesso con viva sorpresa e a volte anche con delusioni e ripensamenti. Mai, comunque, con quella stanchezza che alcuni vorrebbero – chissà mai perché, visto che è il mestiere più bello del mondo – attribuire all’impegno dell’antropologo.
Una parola è d’obbligo per chiarire il ricorrere, nel titolo e nel testo, del termine “tradizione”. Si tratta di un concetto difficile da definire e pericoloso, in quanto spesso fuorviante, nell’uso in ambito di analisi. Di recente, poi, è stato fatto oggetto di critiche al limite dell’ostracismo dal linguaggio “scientifico”. Le ragioni accademiche per le quali ritengo che si sia andati oltre il limite di una legittima revisione critica di un concetto che a mio avviso rimane comunque utile a caratterizzare alcune modalità specifiche del fenomeno della continuità culturale sono espresse in un saggio del 2008 riportato in bibliografia. Qui però voglio sottolineare che quella visione dinamica, attiva e creativa della “tradizione” che Paolo Verra de Arturo mi squadernò – in poche parole come sua caratteristica – in una delle più memorabili lezioni di “antropologia vissuta” che mi sia dato ricordare e che riporto nel testo (grazie Paolo), è precisamente quanto occorre oggi reinvestire nel flusso della continuità della cultura ladina di Fassa giunta oggi, forse, ad un momento di pausa che si spera non sia – quello sì – momento di stanchezza ma di riflessione.
Da ultimo desidero ringraziare tutti coloro che sono entrati nella memoria che ha espresso il contributo che segue. La responsabilità di quanto detto è naturalmente mia, ma sarebbe bello se ci si trovasse concordi almeno su quanto è cruciale per fare delle vicende raccontate le res gestae di un futuro vitale e creativo della cultura fassana. Grazie dunque a tutti Voi. Poi, il lavoro è dedicato, come sempre quando penso ladino, a chi non è più con noi’.